Ha suscitato scalpore in Francia la proposta di legge che, se approvata, equiparerebbe lo stress da lavoro alle malattie professionali. L’ex ministro Benoît Hamon propone di riconoscere al burnout, ossia il crollo psico-fisico del lavoratore, lo status di malattia.
Il termine anglosassone “burnout” sembra allontanarsi dal concetto di malattia mentale, per definirsi secondo alcuni come «sfinimento emotivo e psichico, perdita del senso di realizzazione personale e disumanizzazione della relazione lavorativa».
In Francia si stima che rischino il burnout 3,2 milioni di persone, ma nel 2013 sono stati solo 239 dipendenti a vederselo riconosciuto: la legislazione vigente sancisce che il «legame essenziale e diretto» tra lavoro e malessere venga provato, e l’invalidità deve essere superiore al 25%. Requisiti molto restrittivi, se si considera che chi perde una mano è giudicato invalido al 20%. Per questo Hamon chiede una modifica dei criteri e l’ingresso del burnout tra le malattie professionali.
Ma la Francia è anche il paese in cui 35 dipendenti di France Telecom, oggi Orange, nel 2008 e 2009 si sono tolti la vita. E come molti altri Paesi europei si trova ad affrontare la nuova atmosfera culturale che circonda quel bene raro che è diventato il lavoro (i disoccupati sono 3,5 milioni): l’imperativo è essere flessibili, «accettare la sfida della meritocrazia», abbandonare i privilegi, rimettersi in gioco, essere sempre connessi rispondendo a telefonino e email fuori dell’orario di lavoro.
Alcuni non ce la fanno, crollano.
Diventa quindi importante per il Datore di Lavoro valutare tutte le misure che possono contribuire al benessere dei dipendenti.
È anche in quest’ottica di prevenzione che la normativa italiana prevede già che la valutazione del rischio stress correlato al lavoro sia uno degli obblighi imprescindibili di ciascuna azienda.
(Fonte: Corriere della Sera, 27/05/2015)